Vi va di ascoltare la mia storia?
Si perché anche noi chiocciole abbiamo una storia da raccontare, forse piccina come la conchiglia che trasportiamo in giro per il mondo, ma è pur sempre una storia.
Ph. Valentina Casella
La mia forse è intrisa di tristezza nelle sue prime pagine, ma ha un lieto fine per il quale non smetto mai di muovere felice le antennine verso il sole..
Il mio nome è Lullaby, e quando sono venuta al mondo, semplicemente, ero diversa da tutti i miei fratelli e sorelle.
Si vedete, perchè a loro si sviluppò subito una bella e solida conchiglia a spirale, di cui andar fieri e da sfoggiare con orgoglio con tutta la nostra numerosa famiglia, e io ne osservavo ammirata le venature e le sfumature di colore, percependone la robustezza, la perfezione..
A me, invece, non crebbe mai..
E dire che l’ho attesa davvero a lungo e con scrupolosa pazienza, pregando che, anche se in ritardo, prima o poi anche sul mio corpicino crescesse quella che sarebbe diventata la mia stessa casa, la mia protezione, la mia ragion d’essere..
Ma non arrivò..
Si perché i miei genitori mi avevano spiegato che le nostre conchiglie ci venivano date in dono dalle fate del bosco, e quindi io attesi e attesi…e cominciai a chiedermi cosa avessi fatto di sbagliato per non meritare quel dono.
La mia stessa famiglia cominciò a guardarmi con sospetto e a tenermi a distanza, ed io non potevo mai uscire al sole perché senza una conchiglia ero perennemente in pericolo.
Ero una chiocciola a metà, e ogni giorno di più sprofondavo nella tristezza e nella solitudine.
Ero stata forse cattiva con i miei fratelli? Forse semplicemente le fate guardandomi non mi avevano ritenuta degna? Eppure io ammiravo così tanto il popolo fatato, scrutandolo di nascosto da dietro le foglie della mia casa.
Così un giorno scappai, incurante dei pericoli cui sarei andata incontro senza avere nulla con me a proteggermi.
Sapevo di dover correre quel rischio, e di dover incontrare il popolo fatato per chiedergli di donarmi una casa, o non sarei stata mai una vera chiocciola.
Il viaggio sembrò durare una eternità, e non so come riuscii a sfuggire alle grinfie di tanti nemici che avrebbero desiderato papparmi in un sol boccone.
Molte volte fui sul punto di abbandonare quella folle impresa e tornare a nascondermi nella mia tana, ma qualcosa dentro di me mi spinse a proseguire, ed infine lo raggiunsi, il popolo fatato…
“Gentili fate che con tanta grazia dimorate fra le fronde degli alberi, ascoltate la mia preghiera. Vi chiedo perdono per qualsiasi colpa abbia macchiato il mio lento cammino, e vi supplico qui inerme di donare anche a me una conchiglia, o non saprò mai chi io sia davvero!”.
Notai che una delle fate mi stava ascoltando e scrutando con attenzione, e in vita mia non avevo mai visto una creatura tanto bella. Era interamente adorna dei fiori della primavera, e irradiava vita e luce.
“Nessuna colpa ha macchiato il tuo cammino cara Lullaby. Ti stavamo aspettando”, mi disse.
“Ogni cento anni noi fate scegliamo una creatura del bosco cui affidare un dono speciale, da custodire con cura e di cui esser degni. Affrontando questo pericoloso viaggio hai dimostrato il tuo coraggio e la tua purezza, e adesso sei pronta per riceverlo.
Ma devo avvertirti: esso ti renderà sempre diversa rispetto ai tuoi simili, e avrai un compito importante da portare a termine. Sei disposta ad assumerti questa responsabilità?”
“Dolce fata, qualsiasi compito di cui tu mi ritenga degna sarà per me un onore assumerlo finché avrò vita”, le risposi.
La fata annuì sorridendo, e in un attimo avvertii una sensazione mai provata in vita mia, che mi avvolse nel suo inaspettato e meraviglioso calore..
“Guardati allo specchio Lullaby”, disse quindi la fata, indicandomi un disco di rugiada incorniciato da piccole foglie d’edera posto di fronte a me.
Strisciai lentamente verso lo specchio, con il cuore in gola, e d’un tratto la vidi… la mia bellissima conchiglia.
Ph. Valentina Casella
Ma questa era completamente diversa rispetto a quella dei miei genitori, o dei miei fratelli e sorelle, perché non aveva la loro spirale né i loro colori sgargianti, anzi vi si poteva vedere attraverso.
Una enorme sfera di rugiada con la durezza dell’arenaria.
Al suo interno, commossa ed incredula, vidi dei meravigliosi fiori di ortensia uguali a quelli di cui era adorna la fata..
Cercai di trattenere le lacrime che per la felicità mi stavano rigando il viso, e guardai nuovamente la fata in attesa di istruzioni..
“Da questo momento diventi, al nostro pari, una custode della foresta e del tempo che scorre. La tua conchiglia sarà dimora dei nostri fiori, delle nostre foglie e radici, che cambieranno al cambiare delle stagioni. Lo scandire dei fiori che porterai con te ogni giorno, scandirà il tempo stesso, e insegnerai alle altre creature del bosco la sacralità della pazienza e della prudenza, dell’abbondanza e della longevità, della costanza e del rinnovamento. Benvenuta tra noi Lullaby, che il tuo percorso ti renda ogni giorno più saggia, e che i nostri fiori proteggano sempre il tuo cammino”, e così dicendo svanì in un raggio di sole infiltratosi fra le fronde della quercia..
Rimasi a lungo immobile e in silenzio, sopraffatta da emozioni forse troppo grandi da contenere nel mio corpicino, e se avessi potuto saltare e ballare fidatevi, lo avrei fatto senza remore..
Avevo finalmente scoperto chi fossi e, con una meravigliosa cupola di fiori a guidarmi, adesso avevo un’identità, uno scopo; e non vedevo l’ora di perseguirlo e scoprire cosa la vita avrebbe avuto in serbo per me lungo il mio cammino..
Ph. Valentina Casella
La fata della primavera non aveva mentito, e a differenza dei miei simili scoprii di avere una longevità senza eguali. I giorni divennero mesi, i mesi anni, mentre percorrevo i sentieri dei boschi osservando ammaliata lo scorrere del tempo..
Le stagioni si succedevano come in una elegante danza senza fine, e la mia chiocciola ospitò le foglie d’acero dell’autunno, i bucaneve invernali, i fiori di ciliegio e le primule primaverili, per vedere sbocciare infine anche le rose purpuree dell’estate..
Più volte diedi consigli allo scoiattolo che dimorava nella grande Betulla, o alla ghiandaia prima che spiccasse nuovamente il volo..
Ph. Valentina Casella
Un giorno durante il mio lento vagare nella foresta, giunsi nei pressi di un lago cristallino incorniciato da alberi in fiore, presso il quale molte altre creature del bosco si fermavano per dissetarsi nelle giornate afose..
Fra queste, notai che un lupo dal manto argenteo mi stava osservando curiosamente con il capo inclinato, e ricordo ancora il giallo intenso del suo sguardo..
Mi si avvicinò con prudenza e si chinò per sentire il mio odore.
A mia volta percepii il suo, e capii di avere di fronte una creatura possente, ma dal cuore buono.
“Non avevo mai visto una chiocciola fiorita! Io sono Nakei. Qual è il tuo nome ?”, mi disse tutto d’un tratto con voce ferma e profonda.
“E io non avevo ancora mai incontrato un lupo! Mi chiamo Lullaby”, risposi deglutendo rumorosamente.
“I tuoi fiori sono bellissimi, alla mia umana piacerebbero molto. Come mai li porti nella tua conchiglia?”.
All’improvviso capii che il lupo non mi avrebbe fatto del male. Che quell’incontro era stato voluto dal destino e dallo stesso tempo che scorre e di cui ero diventata custode, e sorrisi.
“E’ una storia lunga, ti andrebbe di ascoltarla?”, gli chiesi.
Nakei si sdraiò davanti a me senza distogliere lo sguardo, e il mondo intorno sembrò fermarsi per qualche minuto incorniciando tra i fiori due creature così distanti tra loro, poste ora l’una di fronte all’altra, finché il lupo non spezzò il silenzio:
“Racconta”.
Valentina-Nakei